P. Paolo Dall’Oglio S.I., testimone del dialogo in Siria (quarta ed ultima parte).

Ormai sono passati 7 anni dalla scomparsa in Siria del gesuita padre Paolo Dall’Olio. Da allora si sono alternate diverse voci in merito, ma non ci sono certezze in nessuna direzione. Amando gli abitanti di quel paese, se ne fece carico tanto intensamente da esserne rapito allora e fino ad oggi, per giocare con le parole, così come anch’esso amava fare in talune circostanze. Ma niente in realtà fu un gioco per lui da quando decise che l’Islam, i figli di Ismaele e la loro terra, sarebbero diventati la sua nuova casa, i suoi fratelli e la sua nuova nazione.

Conclusioni.

Al termine delle considerazioni presentate in queste pagine, è possibile riprendere alcuni passaggi, come degli attrezzi, degli strumenti da utilizzare in un laboratorio di virtù. Delle virtù, se ne sente parlare sempre meno nel linguaggio ordinario, come se fosse un termine anacronistico e che invece appare sempre più necessario. Possono le virtù di padre Paolo, del monastero di Mar Musa, essere utili al nostro vivere quotidiano, per questo nostro mondo?

Non possiamo affidare questo momento storico così importante a pochi dilettanti, vittime, in diverso modo, di paure più o meno esplicite cui spesso, proprio per queste paure, tendono ad aggredire, piuttosto che ad ascoltare. Non possiamo farci annoverare nemmeno fra quelli che presi dal vortice del quotidiano, dimenticano se stessi. L’appello a formarsi senza farsi imbonire, a sapere senza dare per scontato, a disporsi a conoscere l’altro senza chiudersi nei propri pregiudizi, a riconoscere valori comuni a tutti, credenti e non, deve e può avere risposta in tutti gli uomini che vogliono essere migliori, che applicano semplici virtù di buon senso, incamminati verso il bello, il bene, il giusto, il vero… verso un ‘ethos globale’ di riferimento: ci sono molte persone su questa strada. È questo un ‘monachesimo’ possibile che corregge i falsi appelli all’andare via da se stessi, verso consumismi, dispersioni esistenziali, superficialità. In un monastero interiore, spirituale in dote ad ogni uomo, dove poter essere in ogni città, in ogni luogo di vita.

Occorre mantenere questo spazio come il più ambito.

Chi si sente interpellato trova in questo itinerario, anche un luogo, esteriore a sé ma che lo riconduce costantemente a se stesso: è l’esperienza di tutti i giorni, la vita quotidiana del lavoro, della famiglia, delle relazioni. Non c’è pratica migliore che imparare a farsi coinvolgere da ciò che accade per esprimere il senso di questo ‘andare verso’, poiché un’etica globale agisce tutti i giorni in termini locali, nelle righe della storia personale di ciascuno. È qui che avviene il primo vero laboratorio dove la parola presa, ascoltata e detta, si declina in realtà. È qui che sfumano le paure dell’altro, il pregiudizio. Un tempo costante, maggiore, dove l’incontro avviene in vicinanza e non sempre è desiderato, scelto o voluto. L’incontro vero, se non lo si sfugge, riconduce a me. L’altro in qualche modo mi ‘appartiene’ e, nella sua diversità, posso riconoscere il mio espresso e quanto ancora mi resta da svelare. L’altro può rendermi migliore in una relazionalità che è sempre da compiersi perché ancora inedita. Dall’incontro con l’umanità più diversa fino agli incontri con gli avvenimenti e il creato: tutto può riportare me stesso ad un nuovo ‘fare’. Ripartire dall’empiria è anche questo. In questo altro, c’è il musulmano, c’è l’ebreo… Questi uomini che si ‘fanno’ incontro, attraverso la loro esperienza umana possono proporre e progettare anche Istituzioni nuove, soprattutto quelle che fin d’ora si muovono per conoscere e far conoscere l’altro che viene così come è, nelle vie di razionalità relazionale.

Perché questo incontro avvenga, il dialogo è un metodo. Il vantaggio di uno strumento è che oltre a velocizzare i passaggi del tuo lavoro, mentre ti rendi specialista, non ti lascia più e non lo lasci più. Gli incontri fatti di dialogo sono intensi, vivono di empatia, mettono ciascuno degli interlocutori sempre in una posizione nuova, ri-generante.

Può il terrazzo di Mar Musa, dove s’incontrano all’imbrunire gli ospiti proveniente da vari luoghi, di diverse religioni, essere lo spazio di dialogo come proposto in queste pagine, più dei canali virtuali della globalizzazione? Può quel terrazzo di Mar Musa essere uno spazio laboratoriale per le terrazze e per le piazze d’Europa e del mondo?

Papa Francesco si fa interprete di questo metodo del dialogo:

“Se c’è una parola che dobbiamo ripetere fino a stancarci è questa: dialogo. Siamo invitati a promuovere una cultura del dialogo cercando con ogni mezzo di aprire istanze affinché questo sia possibile e ci permetta di ricostruire il tessuto sociale. La cultura del dialogo implica un autentico apprendistato, un’ascesi che ci aiuti a riconoscere l’altro come un interlocutore valido; che ci permetta di guardare lo straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra cultura come un soggetto da ascoltare, considerato e apprezzato. È urgente per noi oggi coinvolgere tutti gli attori sociali nel promuovere «una cultura che privilegi il dialogo come forma di incontro», portando avanti «la ricerca di consenso e di accordi, senza però separarla dalla preoccupazione per una società giusta, capace di memoria e senza esclusioni»[1].

E ancora, l’attuale Pontefice:

“La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione. In tal modo potremo lasciare loro in eredità una cultura che sappia delineare strategie non di morte ma di vita, non di esclusione ma di integrazione. […] Oggi ci urge poter realizzare “coalizioni” non più solamente militari o economiche ma culturali, educative, filosofiche, religiose. Coalizioni che mettano in evidenza che, dietro molti conflitti, è spesso in gioco il potere di gruppi economici. Coalizioni capaci di difendere il popolo dall’essere utilizzato per fini impropri. Armiamo la nostra gente con la cultura del dialogo e dell’incontro.

Il dialogo e tutto ciò che esso comporta ci ricorda che nessuno può limitarsi ad essere spettatore né mero osservatore. Tutti, dal più piccolo al più grande, sono parte attiva nella costruzione di una società integrata e riconciliata. Questa cultura è possibile se tutti partecipiamo alla sua elaborazione e costruzione. La situazione attuale non ammette meri osservatori di lotte altrui. Al contrario, è un forte appello alla responsabilità personale e sociale”[2].

Senza dialogo c’è un terrore che rimane dentro, che può rimanere lì o può manifestarsi fuori, nell’espressioni più disparate e, a volte, disperate. Il dialogo interiore come una forma di preghiera, espressione di un incontro, dell’Incontro, è fonte di una buona operosità. La concretezza del lavoro comune a Mar Musa, può essere segno di un’operosità dialogante necessaria che segue le nostre liturgie. È un fare pratico con-creativo, costruttivo e sociale che rende visibile l’esperienza dell’Incontro e degli incontri. Incontri che si celebrano sul terrazzo del Monastero per celebrare un’amicizia fraterna che, alla sera della giornata canta ‘come è bello stare insieme come fratelli’, nonostante le fatiche appena trascorse.

Paolo Dall’Oglio, partecipando alla Marcia per la Pace di Lecce, il 31 dicembre 2012, condivise il sentimento che lo univa al popolo siriano e, sebbene espulso, maturava l’idea di ritornare nella terra martoriata per ‘amore del suo popolo’. Era quel popolo che lo richiamava alla responsabilità personale, più che la paura di tornare, più che la possibile restrizione della sua libertà, più che la morte stessa che poteva subire, narrava che non poteva non testimoniare quanto accadeva in Siria, non solo in Italia o in Europa, ma anche e soprattutto in quella terra martoriata. Dialogava qui, ma sentiva la responsabilità sociale di dialogare lì, anche se non voluto dal regime. Ci insegna così ancora oggi un modo nuovo di contemplare, di unirsi alla preghiera-grido delle vittime dell’odio generato da interessi di parte, ci dice di un’accoglienza abramitica professata e possibile anche se, purtroppo, non abbiamo più sue notizie.

Il prezzo della sua assenza vale il biglietto del nostro impegno a cercare e trovare vie di Dialogo in ogni nostra circostanza.


[1] Evangelii gaudium, n. 239.

[2] Papa Francesco, al conferimento del Premio Carlo Magno, il 6 maggio 2016.