ANCORA IL CONCILIO VATICANO II? Novità di ricerca, incontro, comunità.
In classe, alcuni ragazzi mi chiedono se ha ancora senso parlare di ‘novità’ del Concilio Vaticano II (CVII) a 55 anni dalla sua chiusura. Quello che è stato, è stato; quello che doveva dire ha detto, ora guardiamo il presente, quello che ci riguarda, parliamo dell’oggi e valutiamo se ha senso questo cristianesimo, di quello che vediamo nelle chiese che sono sempre più vuote, così come sembra anche svuotarsi un po’ il messaggio evangelico: è per certi versi il senso di quello che ascolto dai miei alunni più grandi. Il CVII sembra ormai lontano da loro. Io mi sento interpellato seriamente poiché anch’io sento la necessità, con loro, di farmi qualche domanda su ‘questo cristianesimo’. Una domanda così viva richiede una risposta e, la risposta, non deve essere solo un libro o più libri e, allora, per punti, dico loro alcune cose, pur sapendo che come per ogni risposta sulla fede, vale sempre più una testimonianza sincera.
Dapprima parlo di un Concilio che viene indetto dopo circa 400 anni dall’ultimo[1], il Concilio di Trento (1545-1563). Questo fatto squisitamente cronologico lo rende già una novità. Un papa anziano (Angelo Roncalli) lo indice nel 1959 e immediatamente diviene un evento, molto più che un semplice episodio. Giovanni XXIII ha esperienze diplomatiche internazionali, con una visione di relazioni onnicomprensive ed è stato Patriarca di Venezia, potremmo dire che è stato Vescovo come ‘un pastore che odora di pecore’. E, infatti, non ha voluto un Concilio come gli altri di dogmi e regole, o contro qualcuno o qualcosa, lo ha voluto ‘Pastorale’. La Chiesa, dice Angelo Roncalli, deve aggiornarsi, deve aprirsi, deve riscoprire il messaggio evangelico, deve trovare un linguaggio nuovo per dirselo e narrarlo al mondo. Giovanni XXIII è la scintilla necessaria di un fuoco che è ormai acceso e che rimane tale anche dopo la sua morte nel 1963.
Gli succede Paolo VI (Giovanni Battista Montini) che porta avanti quanto ben avviato dal suo predecessore. L’avanzamento dei lavori con una presenza media di circa 2000 vescovi, oltre anche alcuni rappresentanti di chiese cristiane e non e, verso la fine, anche di alcuni laici, procede più o meno facilmente. Gli argomenti sono delicati e diversi, le discussioni prendono piede: sessioni, commissioni, congregazioni generali, oltre diversi documenti: Costituzioni, Dichiarazioni, Decreti, messaggi vari a diverse categorie di persone… Un ingranaggio coinvolgente, una macchina complessa con opinioni varie e pareri molteplici. Paolo VI detta le regole, cerca di tenere insieme, sviluppa mediazioni, porta a termine quei lavori che sembravano arenarsi in qualche parte di questo grande processo. Avoca a sé alcune decisioni anche posponendole alla fine del Concilio. Montini è uomo di mediazione ed è fulcro di equilibri continui. Si rappresentano così molto spesso, fino alla fine e anche dopo la chiusura dei lavori, una minoranza che vuole conservare quanto più possibile lo status quo, ed una maggioranza molte volte divisa in sé che, nel tentativo di rimanere sulla via del rinnovamento, pare sgretolarsi, perdere pezzi.
Questi equilibri dubbi, tengono e non tengono, si oppongono chiaramente alla lucidità osservata in Roncalli. Lasciare in vecchio, affacciarsi al nuovo attraversa mille peripezie. Alcuni tengono, altri vanno via. Alcuni rimangono volutamente indietro, altri sono più lenti; altri corrono avanti decisi e non aspettano, magari sono capaci di mostrare un orizzonte più ampio, una via sconosciuta. In tutti questi movimenti si creano spazi incerti, indefiniti; chi lascia una convinzione che era quello attorno al quale gravitava tutto, si sente smarrito; chi aveva compiuto azioni appena sbocciate nel proprio mondo emotivo che lo avevano esaltato, vive modi di prassi abitudinarie e si disorienta. Tra un tanto e un poco c’è un così e così; tra un ‘sì’ e un ‘no’ chiari, appare un nì. Si è creata così un’area che potremmo definire limbica, uno spazio contenitore che si è posto al centro tra visionari e recriminanti… Quasi un popolo di donne e uomini ‘accesi’ che man mano sembrano assopirsi sul comodo cuscino delle abitudini, anche quelle nuove, post-conciliari, e sembrano perdere l’energia che apparivano produrre. Quella zona con tante gradazioni dove si affacciano disimpegno e impegno e che, alla fine, diventa il posto dove ciascuno si rincuora autonomamente raccontandosi che tanto, alla fine, tutto rimane come prima, che sono sempre gli stessi, e così via…
“Va beh prof, le solite cose, niente di nuovo sotto il sole… Queste cose le conosciamo già; è così per tanti: si entra rivoluzionari e si esce burocrati”.
“Sì, è vero in parte”, dico loro. Il cambiamento ha sempre questi risvolti di conflitto, di confusione, di arretramento oppure avanzamento lento o spedito che sia… guidare il cambiamento è una sfida continua. Avviene e ne comprendiamo la portata quasi all’improvviso, oppure lasciamo che ci scivoli addosso; altre volte, per comodità o paura, facciamo finta di niente. Ma se non vogliamo rimanere in quella zona limbica anche noi, se almeno vogliamo provare a dare ragione a quelli che ci tentano per amore, per coerenza verso se stessi, il proprio credo e i propri ideali, proviamo a osservare almeno tre cose che, secondo me, continuano ad essere nuove.
- Lo stile della RICERCA. Prima ancora che nascesse l’idea del Concilio, essa è stata cercata, voluta. Dai diari di Giovanni XXIII ci appare chiara questa tensione verso, che si definisce nel tempo. La ricerca è capace di recuperare dal passato gli stimoli per esplorare spazi nuovi. Così vale per la fede: cosa permette e come la vita cristiana si incultura nel tempo e nello spazio? Una verità, se è tale, non è mai posseduta per intero, è nel ‘già e non ancora’, è da cercare sempre e in maniera dialogica. La ricerca, in generale, è dell’umile dal cuore onesto, del curioso che si vuole mettere in gioco, è del bambino che desidera diventare grande. La ricerca è per tutti e non ci sono favoriti e non si può dire che qualcuno possa essere privilegiato per una qualche condizione.
- Allora la ricerca è lo strumento per stabilire come posso rivisitare costantemente me stesso e me stesso in relazione alla sequela di Cristo come un’esperienza mistica a più livelli. Non ci può essere fede cristiana senza incontro del Risorto (cfr 1Cor 15) che avviene come un incontro personale. Ma questa presenza non è solo personale, è sacramentale, ecclesiale, umana (“ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi fratelli più piccoli…” Mt 25,40). È lì, in te, è lì, lì, lì, … è onnipresente ed è necessario avere occhi nuovi e un cuore nuovo che si aprono, come è successo per Maria Maddalena e i discepoli di Emmaus, per esempio. Se occhi e cuore a volte (o troppo spesso si offuscano), almeno posso lasciarmi raggiungere per far diventare quella ricerca un lasciarmi trovare nell’oggi: un sepolcro vuoto, per strada, in riva lago, nel Silenzio…
- La ricerca di questa esperienza nasce da una comunità e riporta ad essa. Una comunità, sia essa familiare o pastorale è maestra e conserva i principi della trasmissione della fede. Questa esperienza ti fa ritrovare in una chiesa, in una comunità dinamica, che ricercando incontri veri sarà meno rigida, aperta al discernimento e alla sinodalità. Una comunità così fatta non ha un portfolio per sempre: è in cammino presentandosi come immagine e testimonianza dell’Incontro e di tutti gli incontri. Non si chiude e anzi, è propriamente identitario di questo tipo di comunità di fede, essere aperta. E’ il luogo dove sentirsi chiamati per nome senza essere nella massa ed essere valorizzati per i propri carismi e la propria mission.
Che ne dite ragazzi?
Queste sono alcune delle novità del CVII che ci vengono offerte: tante persone sono state coinvolte per cercare, in alcuni anni, un linguaggio nuovo per parlare del messaggio di Gesù. Hanno individuato qualcosa, ma non ancora tutto e allora ci dicono, dopo 55 anni, cerca anche tu.
I Padri conciliari ci hanno dato strumenti che loro non avevano e, per fare esperienza mistica, come per esempio una Scrittura comprensibile con testi in lingua e studio storico-critico di tanti bravi ‘cercatori’, hanno dovuto faticare di più; pensiamo anche ad alle liturgie più partecipe, vive, alla possibilità di avvicinarci di più e personalmente alla figura e all’incontro personale di questo Maestro straordinario.
E che dire poi di quei tanti che oramai non sono più casta e che svolgono il proprio servizio all’interno della grance comunità cristiana per leggere con te i “segni” di ciò che accade, che ti accade e che accade nel mondo. Una comunità non omogenea che ti offre preghiera e sacramenti, ma che è segno evidente si servizio ai poveri e a quanti sono in difficoltà, con tante persone (che sono sempre troppo poche) che industriano per trovare sempre soluzioni per portare per mano chi rallenta nella vita.
Un Concilio così deve ancora terminare ed ha bisogno ancora di tanti, di me e di te, perché oggi come allora, possiamo accogliere l’azione viva e vivificante dello Spirito di Dio.
[1] Metto volutamente da parte il Concilio Vaticano I (1869-1870) anche perché mai chiuso e per osservare con più immediatezza alcuni passaggi.