IL PEDAGOGO GESÙ, spunti dal ‘Pedagogo’ di Clemente Alessandrino
Clemente Alessandrino vive tra il II e il III secolo d.C., in un tempo in cui il cristianesimo primitivo mentre si costituiva anche dal punto di vista teoretico, si confrontava contemporaneamente con le culture ebraica e greca. Egli nacque molto probabilmente ad Atene in una famiglia pagana. Dopo numerosi viaggi si stabilì ad Alessandria d’Egitto; in seguito alla persecuzioni di Settimio Severo, lascia l’Egitto e si dirige verso la Cappadocia, dove muore nel 215.
Tra le opere di Clemente, troviamo il Pedagogo: è un’opera in tre tomi, ognuno di 12 capitoli1, il cui fine «è di migliorare l’anima, non di istruirla e di incentivare una vita ragionevole, non sapiente»2. Il Pedagogo cura l’anima come il medico cura il corpo, per la vera conoscenza del Padre: lui che è il Figlio ci può guidare e noi dobbiamo prendere a esempio Lui per ‘migliorare’ la nostra anima. Egli dice che per ottenere questo bisogna fare riferimento alle Scritture applicandole a ciò che è davvero utile per la propria vita, iniziando così da se stessi e dal modo essenziale in cui bisogna regolarsi3. Quando infatti, guidati dal Pedagogo, ci si confronterà con le Scritture, sarà chiaro quanto è importante occuparsi principalmente delle cose interiori piuttosto che di quelle esteriori. Allo stesso modo, l’occhio dell’anima stessa sarà purificato dalle passioni del corpo e vedrà il proprio corpo in maniera diversa. Che cosa può essere più efficace di questo processo e di noi stessi in cammino sul sentiero che porta alla conoscenza di Dio?4
Vi è una centralità dell’anima specifica nella proposta che l’Alessandrino in quest’opera offre ai suoi lettori.
Un ulteriore contributo per comprendere meglio ciò che sull’anima l’autore ci voglia dire, ci può venire se prendiamo ‘in prestito’, per un momento, l’interessante mito della ‘Biga alata’ di cui ci parla Platone nel Fedro. Platone ci rappresenta questa biga con un auriga che tiene le briglie di due cavalli, uno bianco e uno nero. Quest’ultimo tende più a seguire il suo istinto, pulsioni basse e disordinate, legate ai bisogni della carne. Quello bianco, comprende i comandi dell’auriga, la ragione che è nell’uomo, cercando dallo stesso luogo di traino del cavallo nero di condurre l’insieme verso l’alto, verso idee migliori, senza cadere nel basso.
Nel divenire della vita, questa dinamica richiede un’azione continua di purificazione attraverso un costante lavoro di conoscenza di se stessi al fine di individuare con sempre maggiore certezza e precisione ciò ognuno cerca e desidera veramente per il proprio sé. Lo stesso Alessandrino, riprendendo il famoso oracolo delfico, all’inizio del terzo libro del Pedagogo, afferma:
«Conoscere se stessi era, mi sembra, il più grande di tutti gli insegnamenti: se uno conosce se stesso, infatti vedrà Dio e vedendo Dio si assimilerà a Dio, non indossando oro, non indossando vesti d’oro né vesti lunghe, ma compiendo opere buone e necessitando quanto meno possibile. Soltanto Dio non necessita di nulla e si rallegra soprattutto vedendo noi puri con l’ornamento della mente e poi anche con quello del corpo, rivestendo la santa stola, la temperanza»5.
Appare chiaro così che il processo di purificazione dell’anima passa attraverso la conoscenza di se stessi che implica una sorta di battaglia interiore subordinata all’orizzonte esistenziale che ciascuno sceglie per sé. Sarà necessario avere poco, ma agire tanto ed agire bene. Chi ci aiuterà in questo percorso?
Il Pedagogo viene da Dio ed indica una strada per andare al Padre, insieme a Lui, a partire dal λόγοϛ che già ci inabita. È dal λόγοϛ, che si manifesta diversamente in ciascuno, che è possibile iniziare questo itinerario. Mentre il cavallo nero tenderebbe a volgere lo sguardo verso ciò che si corrompe, il bianco apre gli occhi dell’anima al bello incorruttibile proprio grazie al λόγοϛ, perché Dio è bello. La comprensione della manifestazione di questa bellezza è data dalla bellezza già presente nell’uomo, che gli è stata donata ed in lui incarnata come un seme da coltivare e nutrire.
Parafrasando Eraclito6, Clemente afferma che il Pedagogo-λόγοϛ è parte comune tra gli uomini e Dio. Egli, sottraendo la carne alla schiavitù della corruzione, «è figlio di Dio ma salvatore degli uomini; del primo servitore e di noi Pedagogo».7 Come riportato in più scritti antichi, a partire dalla Lettera agli Ebrei, Egli è sommo ponte tra il cielo e la terra per il grande cuore di Dio e come Luce per il mondo.
«Fondamento dell’uomo di Clemente è la facoltà di scelta»8 e della possibilità a lui offerta di ‘costruirsi’ in una direzione o nell’altra. Il suo costruirsi però nel verso della sua dignità divina, come accennato, passa per la conoscenza di se stesso; ne consegue un travaglio doloroso e necessario per portarsi alla Luce. Il suo comprendersi nel dinamico movimento dei due cavalli, in un percorso evolutivo, lo convince della necessità di vincere quelle parti che, potremmo dire ‘naturalmente’, lo corrompono.
Spetta all’uomo, dunque, mediante la propria volitività e la libertà che gli è concessa, effettuare quelle scelte e quelle azioni per il progresso dell’anima e che più lo aiutano a divenire migliore; sarà sempre un processo aperto da portare a compimento attraverso il libero arbitrio che gli permette di mantenere un legame sostanziale con lo Spirito Santo ma, evidentemente, non in forma totalmente identificativa. Per colmare la logica differenza, Clemente richiama lo ‘svuotamento divino’ «secondo cui essere perfetto significa farsi imperfetto al fine di poter accompagnare l’imperfetto alla perfezione»9. Un processo bidirezionale: da una parte Dio, «luogo di tutto, che non occupa alcun luogo […] senza forma e invisibile, che abbraccia tutte le cose»10, che si ‘svuota’, si annulla, fino alla morte di croce11; dall’altra, l’uomo imperfetto che deve solo scegliere di ‘farsi risorgere’ per rendersi con-forme al suo Pedagogo e Maestro.
Il λόγοϛ è veicolo di deificazione e presenta la perfezione di Dio proprio nella sua passibilità. Ma questa ‘bellezza’ del λόγοϛ è passionale poiché «c’è anche un’altra bellezza degli uomini, l’αγάπη»12.
«La perfezione dell’atto rispetto alla potenza è paradossale, perché consiste nel farsi potenza, accompagnando quest’ultima nel suo progresso affinché possa divenire atto a sua volta. Così Gv 4,24 (“Dio è spirito”) diviene espressione della filantropia del “Dio compassionevole che desidera salvare l’uomo”. E per Clemente ciò è fonte di meraviglia: Dio è “divenuto uomo affinché tu apprenda da un uomo come alla fine anche un uomo diventi Dio” (prot. 1,8.4)13.
Per Amore il Pedagogo si è fatto servo del Padre e con le opere, cioè molto concretamente, è divenuto Maestro degli uomini per metterci nelle migliori condizioni di farci come Lui. Nella sua imitatio è la strada per l’anima che percepisce in questa via ciò che lo conduce a vita vera. La parola del Pedagogo è operosa e appare efficace all’uomo che l’ascolta davvero.
1 Il primo libro contiene un capito introduttivo in più e, simmetricamente, nel terzo libro, l’ultimo capitolo è il tredicesimo che chiude l’opera.
2 Clemente d’Alessandria, Pedagogo I 1,1,4.
3 Cfr., Idem, II 1,1.1.
4 Cfr., Ibidem, II 1,1.2-3.
5 Ibidem, III 1,1.1.
6 «Gli uomini sono déi, déi sono gli uomini», Fr. 62.
7 Cfr.Ibidem, III 1,2.1-3.
8 D. Dainese, Passibilità divina, la dottrina dell’anima in Clemente Alessandrino, Città Nuova, Roma 2012, 71.
9 D. Dainese, Idem, 201.
10 Ibidem, 202-203
11 Cfr Fil, 2,5-11
12 Pedagogo, III, 3.1.
13 D. Dainese, Idem, 225.