SUL CORANO, elementi di base per la curiosità del principiante
Il Corano è la scrittura rivelata dell’Islam. Dio parla a Mohammed, l’ultimo dei profeti, attraverso l’arcangelo Gabriele.
“Secondo la tradizione islamica il Corano sarebbe «disceso» sul Profeta per intero nella cosiddetta «notte del destino», tra il 26 e il 27 del mese di ramadan del 610, ed è evidente che tale credenza risponde alla necessità di preservare la trascendenza della Parola divina, evitando di farla dipendere troppo strettamente da fatti e situazioni contingenti a cui essa è tuttavia comunque spesso e palesemente collegata”[1].
Il testo che abbiamo a disposizione lo dobbiamo ai seguaci del Profeta che hanno stilato il Codice anche rinarrando testi biblici, con generi letterari diversi come l’omiletico e l’epistolare, rivolti generalmente alla seconda persona plurale (Pagani, 2019).
Vi ritroviamo leggi e precetti relativi al culto, alla vita familiare, sociale, con delle raccomandazioni anche molto vicine al galateo. Le parti narrative riguardano storie di profeti antichi e non, che vengono proposti come esempio di virtù e di ‘sottomissione’ a Dio e che come credenti hanno segnato una strada. C’è uno stile che potremmo definire ritmico che il Corano propone non solo nelle sezioni più antiche ma anche in quelle più recenti. Questo stile si sposa bene con la pratica della ripetizione dei versi a memoria e, complementarmente, con quella dimensione dell’ascolto del testo che in virtù anche di questo speciale ‘ritmo’, mantiene sempre una certa musicalità espressiva[2].
In generale, secondo Abû Bakr al-Bāqillānȋ, il Corano per struttura letteraria e contenuti è, comunque, inimitabile e ciò può essere giustificato almeno attraverso tre elementi:
- Contiene informazioni sull’invisibile che l’essere umano non ha in sé;
- Nonostante il Profeta fosse illetterato ha fatto menzione di fatti che non poteva conoscere se non per rivelazione;
- L’eleganza letteraria è tale e sublime che non può che essere di provenienza divina.
Ovviamente i molti seguaci hanno poi aggiunto altre motivazioni e questo certamente anche per giustificare il Corano come un libro generatore e portatore di conoscenze fondamentali per l’essere umano[3].
Questa inimitabilità rimarca come il Corano sia per i credenti musulmani Parola di Dio senza alcuna mediazione umana, come invece, per esempio, avviene per gli scritti biblici. Anzi, per avere una maggiore facilità di comprensione nel nostro ambito culturale a partire dalla fede cristiana, è più facile ardire un parallelo del Corano con ciò che è il Logos-Cristo. In questa prospettiva, dunque, i Vangeli possono più facilmente essere accostati agli hadīt, fatti e detti del Profeta, che non al libro del Corano[4].
Il libro è ordinato in 114 sure (che noi potremmo denominare capitoli), suddivisi in versetti. L’ordine è puramente estetico (tranne che per la prima sura) poiché sono editate progressivamente dalla più lunga alla più corta, senza raggruppare per temi omogenei i contenuti e senza tener conto del periodo in cui sono state scritte. È particolare anche l’incipit di tutte le sure (tranne la IX che in origine faceva un tutt’uno con la VIII), ove viene riportata sempre la formula rituale “Nel nome di Dio, clemente misericordioso”[5].
La ripetizione di questa espressione ad ogni sura, per molti commentatori occidentali, è occasione per considerare diversamente la visione di Dio nel mondo islamico. Essa appare spesso, in un’ottica decisamente superficiale e sicuramente condizionata da alcune forme allarmistiche dei sistemi mediatici, quasi più solita coincidere con quella della divinità super egoica, punitiva ed esigente, dell’onnipotente giudice che sferza i suoi seguaci e che è evidentemente poco confacente a quel Dio invocato nel suo essere ‘clemente e misericordioso’. Ma questa è solo una delle ‘sorprese’, piccole e grandi, che un approccio più attento del Corano può riservare a chi si avvicina al testo con una maggiore neutralità portata, per esempio, anche da un metodo di lettura che contestualizza storicamente lo scritto, leggendolo con una diversa capacità critica profonda.
Che sia stato scritto direttamente da Dio, come viene attestato dai credenti più tradizionali, o da devoti ‘ulamā’ negli anni immediatamente successivi alla morte di Mohammed come ritengono alcuni orientalisti, è chiaro come sia importante il ruolo e la funzione essenziale che questo testo ha svolto nei secoli passati e svolge ancora in questo tempo attuale. Per la seconda religione al mondo, il Corano oltre a coinvolgere lo spirito, è stato ed è determinante per affetti e psiche, oltre che per alcuni ordini negli Stati cosiddetti islamici, che riguardano la legge e il modo di intendere la giustizia, l’organizzazione sociale e i diritti delle persone, …. Se si considera l’inizio della stesura del Corano come avvenuta nei primi decenni successivi alla morte del Profeta, è verosimile affermare che il testo così redatto conserva molte più chance di minori distorsioni e di gran lunga numericamente inferiori, rispetto ai diversi libri canonici della Bibbia[6].
I commentari coranici si raccolgono in milioni di pagine e secondo le due più ampie aree di commento metodologiche Tafsīr e at-Tawil. Il primo, è un commentario di tipo più tradizionale che si fonda su un certo numero di scienze coraniche. Tra queste, non è importante la scienza teologica: Dio è inconoscibile all’uomo nel suo essere ‘totalmente’ altro ed è inutile tentare studi su l’Egli. Di Dio è più importante conoscerne gli atti, l’uomo e il creato e le leggi relative, e non l’essere. Ed a questo assolve il Corano. Il secondo sistema metodologico dei commentari ha un taglio più ermeneutico. All’analisi del testo coranico, deve seguire la comprensione del dove rimanere ‘alla lettera’ più il dove si può o si deve ‘interpretare’. Bisogna cioè cercare il giusto equilibrio tra ciò che è ‘solido’ e ciò che è ‘allegorico/ambiguo’ (cf. Corano III,7). Le traduzioni in genere ci riservano sempre una forma di tradimento della lettera e, se appare chiaro che i testi andrebbero letti sempre nella loro lingua originaria per lasciare meno dubbi interpretativi, dall’altro è altrettanto chiaro come nella dimensione internazionale assunta dai fedeli islamici di cui solo un quinto oramai sono arabofoni, questo sia davvero molto complicato (Campanini, 2019).
Una lettura ermeneutica del testo coranico può forse tradire alcuni puristi ma, in realtà, oltre a rassicurarli per altri aspetti, tipo quello del riconoscimento storico e non solo per fede dei contenuti ivi racchiusi, consente il rafforzamento delle linee di contenuti profondi e condivisi lungo le frontiere aperte sul territorio del dialogo interreligioso e tra le religioni cosiddette del libro e rivelate.
Francesco Paolo Monaco
[1] Paolo BRANCA, Il Corano, Il Mulino, Bologna 20162, 53.
[2] Cf. in ib, 50-52.
[3] Cf. Massimo CAMPANINI, Il Corano e la sua interpretazione, Editori Laterza, Bari 20184, 34-37.
[4] Cf. Giorgio VERCELLIN, Istituzione del mondo musulmano, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 20022, 51.
[5] Cf. Alessandro BAUSANI (a cura di), Il Corano, BUR, Milano 20106, XXXII-XXXIII.
[6] Cf. Massimo CAMPANINI, ib., 94-97.